Giu 232016
 

tempi-moderni1

It’s a mistery to me
we have a greed
with which we have agreed
You think you have to want
more than you need
until you have it all you won’t be free
society, you’re a crazy breed
I hope you’re not lonely without me

Eddie Vedder– Society

Quod non mortalia pectora coges, auri sacra fames
(A cosa non spingi i petti mortali, miserabile cupidigia dell’oro)

Seneca

 

Un attimo di pace. Leggo un po’ e… non so bene come mi sono sentito dopo aver letto quest’articolo di Camon, bello come al solito.

Il direttore generale della Banca Etica di Padova ha informato che il suo stipendio, il più alto nell’azienda, è di 4,6 volte superiore allo stipendio più basso: “Per statuto – ha spiegato -, non può superare di sei volte lo stipendio minimo”. Dunque l’azienda ha stabilito che tra il peggio pagato e il meglio pagato il divario deve stare nel rapporto da 1 a 6. Platone aveva la stessa idea: nel libro La Repubblica propone il rapporto da 1 a 5.

Già Platone ci aveva pensato e aveva avvertito il problema del divario fra i salari, ed eravamo nel 400 a. C. Ma la notizia più sorprendente arriva dalla Francia:

Il giorno dopo dalla Francia quaranta intellettuali denunciavano la pratica delle super-aziende di applicare un rapporto enormemente superiore, e cioè di 1 a 240.

Enormemente superiore? Io direi, anche se risulta cacofonico, incommensurabilmente superiore. Stratosfericamente superiore. Io che sto nel gradino più basso prendo 1, e chi mi sta sopra, nello stesso lasso di tempo, 240. Caspita: per comprare la macchina io devo lavorare otto mesi, senza spendere niente in mangiare, cibo, figli, medicine e così via. Il mio capo con otto mesi di stipendi se ne compra 240, di macchine come la mia.

Il giornalista prosegue poi ricordando come da noi la Olivetti aveva stabilito che il rapporto fosse di 1 a 10 e che questo non le aveva impedito di diventare una grande azienda. Conclude poi: Se in un’azienda uno guadagna un sesto dell’altro, sta male, ma è pur sempre un uomo. Se invece guadagna un duecentoquarantesimo, non è più un uomo, ma un subumano. Un’azienda non può andar bene, se una parte dei suoi lavoratori son trattati come subumani.

Eccoci: uomini al fondo della piramide sociale sono pagati come schiavi, con stipendi da fame, mentre nelle “loro” stesse aziende c’è chi compra ville e barche con nonchalance. Certo, la dignità di una persona non è data da quanto guadagna, ma questi rapporti hanno in sé qualcosa di immorale che mi lasciano sconfortato. Mi ritornano alla mente le immagini dei manager di Air France malmenati e costretti a darsi alla fuga, gambe in spalla e camicie e cravatte a brandelli. Oppure i bonus premiali di certe aziende o banche (poi fallite) elargiti a manager di dubbia efficacia.

Poi mi imbatto in una intervista televisiva fatta ad Alda Merini, dove la poetessa dice: “ Vede, il poeta ha scoperto una grande cosa: che a laurà no, se guadagna. Ha capito? Il tempo è denaro, quindi il tempo lo vuole per sé. Molto breve la logica.  Molto chiaro, no? Deve regalarlo al datore di lavoro? Al padrone? Ma perchè?”, e mi sovviene un piccolo ma intenso pensiero: il tempo che ho a disposizione è un bene preziosissimo, che voglio per me e per coloro che amo. Nessuna montagna di soldi potrà mai valere il tempo che ho trascorso e trascorro con le mie bambine, giorno dopo giorno, mese dopo mese. Ogni attimo, una grazia irripetibile. Una grazia enorme, stratosferica e incommensurabile, direi.

Maco

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