There’s a house across the river
But alas, I cannot swim
And a garden of such beauty
That the flowers seem to grin
There’s a house across the river
But alas, I cannot swim
I’ll live my life regretting
That I never jumped in
(C’è una casa dall’altra parte del fiume
Ma ahimé, non so nuotare
E un giardino di tale bellezza
Che i fiori sembrano sorridere
C’è una casa dall’altra parte del fiume
Ma ahimé, non so nuotare
E vivrò la mia vita rimpiangendo
Di non essere mai saltata)
Laura Marling – Alas I Cannot Swim
Ecco la nostra galassia. Noi siamo uno di quei puntini posti su uno dei bracci periferici della spirale. Un granello di sabbia di una spiaggia grandissima e senza fine: il nostro universo.
Pausa. “Mamma mia, prof!” è la reazione tipica dei ragazzi di Terza a cui introduco una lezione sulla Genesi con questa immagine e queste parole. Chiedo loro per un attimo di fissare la foto e di immaginare lo sterminato silenzio che circonda quell’infinitesimale granello di pulviscolo che siamo noi. Buio e silenzio per migliaia di anni luce.
Noi non contiamo niente. Siamo zero. Ha ragione Massimo Fini quando dice: Baudelaire afferma che “l’unica scusante di Dio è di non esistere”. Non riesco veramente a capire come si possa pensare a un Dio ‘misericordioso’, così frequentemente invocato e richiamato da Papa Francesco. Basta guardarsi attorno. E’ più comprensibile Jahvè, il Dio punitivo degli ebrei che impose al padre di Isacco, per provarne la fede, di uccidere il figlio. Poi le cose andarono diversamente perché quello di Jahvè era solo, diremmo oggi, “uno scherzo da prete”. Ma in realtà Dio non c’entra. E’ solo un’invenzione degli uomini per lenire la propria angoscia di morte. E’ la vita ad essere crudele. Quando siamo giovani la pensiamo come una “meravigliosa avventura” per dirla con le parole di una pubblicità che passa in questi mesi sui nostri teleschermi (non è il mio caso: io ho sempre provato un indicibile orrore per il futuro) ma più si invecchia e ci si avvicina alla morte più si comprende quale sia la sua autentica natura. E’ quanto aveva capito Menandro fin dal III secolo a. C quando afferma, scandalizzando noi moderni, che “caro agli Dei è chi muore giovane”.
Ed è vero,da questa prospettiva la vita appare come un cinico nonsense. Anzi, peggio: un accadimento sadico, dove non c’è nulla di umoristico. Solo il ghigno beffardo di un Fato senza volto.
Oppure… Oppure ha ragione l’antico salmista che cantava “Le mie lacrime, o Dio, nell’otre tuo raccogli: non sono forse scritte nel tuo libro?”. Dio viene pensato come un pastore che cammina nel deserto raccogliendo ogni lacrima come tesoro inestimabile, da conservare e da soppesare quando lo incontreremo nell’aldilà. Nessun dolore andrà disperso, nessuna sofferenza dimenticata.
Guardo il mondo che mi circonda e lo vedo pieno di dolore e male, appesantito da grettitudini e crudeltà insensate. Ma nel buio risplendono migliaia di stelle. Ed è la solita storia:
Rust: Ti confesso Marty, sono stato sveglio in quella stanza a guardare dalla finestra ogni notte, pensando…c’è solo una storia. La più antica.
Marty: Quale?
Rust: La luce contro l’oscurità.
Marty: Beh…so che non siamo in Alaska, ma a me sembra che l’oscurità abbia molto più spazio.
Rust: Già. Hai proprio ragione.
…
Rust: Mh… Credo che ti sbagli, sul cielo stellato.
Marty: In che senso?
Rust: Una volta c’era solo l’oscurità. Se me lo chiedessi, ti direi che la luce sta vincendo.
– True Detective –
Come dice Ravasi, il salmista crede il quel “Dio che pesa le lacrime per trasformarle in luce”.
Mah, … non so voi, ma io credo proprio che scommetterò sul salmista.
Maco
Wikiquote attribuisce la frase a Stendhal, come ricordavo: “L’unica scusa di Dio è che non esiste.”