Feb 042017
 

via Lattea Galassia

There’s a house across the river
But alas, I cannot swim
And a garden of such beauty
That the flowers seem to grin
There’s a house across the river
But alas, I cannot swim
I’ll live my life regretting
That I never jumped in

 (C’è una casa dall’altra parte del fiume
Ma ahimé, non so nuotare
E un giardino di tale bellezza
Che i fiori sembrano sorridere
C’è una casa dall’altra parte del fiume
Ma ahimé, non so nuotare
E vivrò la mia vita rimpiangendo
Di non essere mai saltata)

Laura Marling – Alas I Cannot Swim

Ecco la nostra galassia. Noi siamo uno di quei puntini posti su uno dei bracci periferici della spirale. Un granello di sabbia di una spiaggia grandissima e senza fine: il nostro universo.

Pausa. “Mamma mia, prof!” è la reazione tipica dei ragazzi di Terza a cui introduco una lezione sulla Genesi con questa immagine e queste parole. Chiedo loro per un attimo di fissare la foto e di immaginare lo sterminato silenzio che circonda quell’infinitesimale granello di pulviscolo che siamo noi. Buio e silenzio per migliaia di anni luce.

Noi non contiamo niente. Siamo zero. Ha ragione Massimo Fini quando dice:  Baudelaire afferma che “l’unica scusante di Dio è di non esistere”. Non riesco veramente a capire come si possa pensare a un Dio ‘misericordioso’, così frequentemente invocato e richiamato da Papa Francesco. Basta guardarsi attorno. E’ più comprensibile Jahvè, il Dio punitivo degli ebrei che impose al padre di Isacco, per provarne la fede, di uccidere il figlio. Poi le cose andarono diversamente perché quello di Jahvè era solo, diremmo oggi, “uno scherzo da prete”. Ma in realtà Dio non c’entra. E’ solo un’invenzione degli uomini per lenire la propria angoscia di morte. E’ la vita ad essere crudele. Quando siamo giovani la pensiamo come una “meravigliosa avventura” per dirla con le parole di una pubblicità che passa in questi mesi sui nostri teleschermi (non è il mio caso: io ho sempre provato un indicibile orrore per il futuro) ma più si invecchia e ci si avvicina alla morte più si comprende quale sia la sua autentica natura. E’ quanto aveva capito Menandro fin dal III secolo a. C quando afferma, scandalizzando noi moderni, che “caro agli Dei è chi muore giovane”.

Ed è vero,da questa prospettiva la vita appare come un cinico nonsense. Anzi, peggio: un accadimento sadico, dove non c’è nulla di umoristico. Solo il ghigno beffardo di un Fato senza volto.

Oppure… Oppure ha ragione l’antico salmista  che cantava “Le mie lacrime, o Dio, nell’otre tuo raccogli: non sono forse scritte nel tuo libro?”. Dio viene pensato come un pastore che cammina nel deserto raccogliendo ogni lacrima come tesoro inestimabile, da conservare e da soppesare quando lo incontreremo nell’aldilà. Nessun  dolore andrà disperso, nessuna sofferenza dimenticata.

Guardo il mondo che mi circonda e lo vedo pieno di dolore e male, appesantito da grettitudini e crudeltà insensate. Ma nel buio risplendono migliaia di stelle.  Ed è la solita storia:
Rust: Ti confesso Marty, sono stato sveglio in quella stanza a guardare dalla finestra ogni notte, pensando…c’è solo una storia. La più antica.
Marty: Quale?
Rust: La luce contro l’oscurità.
Marty: Beh…so che non siamo in Alaska, ma a me sembra che l’oscurità abbia molto più spazio.
Rust: Già. Hai proprio ragione.


Rust: Mh… Credo che ti sbagli, sul cielo stellato.
Marty: In che senso?
Rust: Una volta c’era solo l’oscurità. Se me lo chiedessi, ti direi che la luce sta vincendo.

– True Detective –

Come dice Ravasi, il salmista crede il quel “Dio che pesa le lacrime per trasformarle in luce”.
Mah, …  non so voi, ma io credo proprio che scommetterò sul salmista.

Maco

 

Ott 032015
 

Punto di domanda

Bianco: Lei è un eretico?
Nero: Stai cercando di mettermi nel sacco, professore.
Bianco: No, per niente. E’ un eretico o no?
Nero: Non più di quanto dovrebbe esserlo chiunque. Anche chi ha una fede grande così. Non sono uno che dubita. Sono uno che fa domande.
Bianco: E che differenza c’è?
Nero: Be’ secondo me chi fa domande vuole la verità. Mentre chi dubita vuole sentirsi dire che la verità non esiste.

Cormac Mc Carthy in ” Sunset Limited”

 

Credo che l’educazione vera, sciolta da ogni facile slogan e superficialità, ruoti attorno a questi punti fondamentali: suscitare la curiosità e dare le risposte. Togliete la prima e avrete un bel pacco di nozioni che i ragazzi getteranno via non appena scompariremo dal loro orizzonte. Togliete le seconde e avremo un ammasso di falsi critici “esistenzialisti” che trascinano domande inutili senza mai accettare la responsabilità di una risposta.

La cosa più bella è strutturare la curiosità, perché diventi un abito che ti accompagna per sempre, un desiderio di conoscere, di scoprire, di confrontarsi con nuove realtà capaci di donarti il piacere della meraviglia. Quel desiderio anche spirituale che ti allontana dalla sclero-cardia, dalla durezza del cuore di chi ormai sa già tutto o di chi non accetta sguardi sul reale diversi dal proprio.

La cosa più seria è, alla fine del percorso che ha portato i ragazzi ad interrogarsi e a confrontarsi, dare loro la risposta, o le risposte. Non possiamo nasconderci. Penso che spesso dietro alla giustificazione “noi dobbiamo far nascere le domande, le risposte le troveranno loro” ci stia un deserto umano, una personale incapacità di rispondere. Forse è proprio l’assenza di una vita vissuta sulle risposte che uno accetta di fare proprie e con le quali accetta di misurarsi; forse è proprio questa miseria umana, di chi sta sempre alla finestra e mai accetta di lottare e faticare; forse è tutto questo che a volte ci spinge ad essere dei ripetitori di domande sterili e in ultima analisi inutili.

Quando accettiamo di essere e mostrare ai ragazzi che ci stanno di fronte la nostra vita vissuta concretamente, nell’ incarnazione di ideali buoni e non scontati o banali, allora credo che a tutte le loro domande noi stiamo dando la risposta, quella vera.

Siamo affaticati, è vero. Non siamo ricchi calciatori o cantanti famosi. Ma c’è in loro la percezione che quello che viviamo passo dopo passo suscita delle domande che hanno in sé e soprattutto in noi il seme della risposta. Non possiamo sottrarci e nasconderci sotto la gonna del dubbio.

Io non sono uno che dubita, sono uno che fa domande… e qualche risposta l’ha trovata e sta cercando di viverla al meglio.

Maco

Giu 292015
 

gemma

I got dust on my shoes, nothing but teardrops
 You’re missing

I passi del mio vagare tu li hai contati, le mie lacrime nell’otre tuo raccogli
Sal 56

 

Come posso parlare, di fronte alla morte?
Come vivere passo dopo passo, normalmente, sapendo che altri sono nel lutto?
Come mitigare il loro cordoglio?

Ho un pudore verso il dolore che mi blocca, anche nei pensieri. L’ho sempre vissuto da solo, anche se negli amici ho trovato un porto sicuro. Ma non sono capace di consolare, di varcare la soglia dell’intimità altrui, per farmi carico di un po’ del loro dolore.

Fino a quanto posso spingermi? Anzi: posso farlo? Io non ho questa capacità. La morte ci è connaturata, ci permea ogni istante, basta solo prestarle attenzione.

So che la morte di un famigliare e di un amico lascia un vuoto eterno, che segnerà la vita dei presenti fino alla loro morte. Niente riporterà il tempo indietro. Nessuno potrà colmare il vuoto. Un’assenza che come migliaia di ami strappa la carne della memoria e lascia un dolore costante, che diventa una discordante nota di sottofondo nella nostra vita quotidiana.

Tornerò alla mia tavola, a mangiare, mentre altri piangono. Tornerò a leggere, a giocare, a lavorare. Per altri, nulla è più lo stesso di prima.

Tante domande, che ruotano soprattutto attorno a quel che avrebbe potuto essere nel tempo futuro e che da oggi non sarà più. Quanto il nostro legame si sarebbe rafforzato, sarebbe diventato condivisione e infine amicizia?

È uno sforzo terribile, guardare oltre questo buio per raccogliere semi di speranza per un tempo futuro, non certo per adesso. C’è nel mio libro questa voce forte che dichiara “tergerà ogni lacrima dai loro occhi; non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate”.

Basta morte, basta lutto, ti prego. Vorrei solo una piccolissima visione, percepire un frammento di quell’ ecco, io faccio nuove tutte le cose, e tenermelo vicino al cuore.

Maco

Mar 042015
 

E così, anche quest’anno la Quaresima mi spalanca le porte sconosciute e affascinanti del deserto. Un luogo strano, terribile e allo stesso tempo propizio per chi vuole fare pulizia dentro di sé.
Mi ricordo di un frate francescano in Terra Santa, che dopo aver camminato per alcune ore nel deserto di Giuda si era soffermato a guardarsi i sandali.
“Cosa c’è, qualche vescica?”
“No, no. È solo che ogni volta che cammino nel deserto succede ai sandali la stessa cosa che succede alla mia anima: guarda, come sono puliti.”
Di sicuro per me oggi prevale più l’aspetto positivo del deserto, il suo forte richiamo all’ascolto, al silenzio; anche se rimbombano dentro le orecchie le parole di Mosè al suo popolo: “Poi partimmo dall’Oreb e attraversammo tutto quel deserto grande e spaventoso che avete visto”,  “questo deserto grande e spaventoso, luogo di serpenti velenosi e di scorpioni, terra assetata, senz’acqua”.
Ci camminerò. Quaranta giorni, quaranta notti. Intanto tengo fra le mani questa poesia/domanda di Nelly Sachs:

Se i profeti irrompessero
per le porte della notte,
incidendo ferite di parole
nei campi della consuetudine,
riportando qualcosa di remoto
per il bracciante
che da tempo a sera ha smesso di aspettare

Orecchio degli uomini
attento alle piccolezze,
sapreste ascoltare?

Saprò far incidere dai profeti i campi della mia routine quotidiana? Lascerò che il mio cuore sanguini? Oppure le meschinità, le grettezze, la superficialità l’avranno vinta?
Sorrido, perchè di tutto il brano delle tentazioni così travolgente di immagini, solo una frase continua a riecheggiarmi nell’animo: “ ed ecco angeli gli si accostarono e lo servivano”. Dio, che splendore. Questo attendo al termine del deserto, alla fine della notte, quando finalmente la primavera sboccerà.

Maco