Mar 042015
 

E così, anche quest’anno la Quaresima mi spalanca le porte sconosciute e affascinanti del deserto. Un luogo strano, terribile e allo stesso tempo propizio per chi vuole fare pulizia dentro di sé.
Mi ricordo di un frate francescano in Terra Santa, che dopo aver camminato per alcune ore nel deserto di Giuda si era soffermato a guardarsi i sandali.
“Cosa c’è, qualche vescica?”
“No, no. È solo che ogni volta che cammino nel deserto succede ai sandali la stessa cosa che succede alla mia anima: guarda, come sono puliti.”
Di sicuro per me oggi prevale più l’aspetto positivo del deserto, il suo forte richiamo all’ascolto, al silenzio; anche se rimbombano dentro le orecchie le parole di Mosè al suo popolo: “Poi partimmo dall’Oreb e attraversammo tutto quel deserto grande e spaventoso che avete visto”,  “questo deserto grande e spaventoso, luogo di serpenti velenosi e di scorpioni, terra assetata, senz’acqua”.
Ci camminerò. Quaranta giorni, quaranta notti. Intanto tengo fra le mani questa poesia/domanda di Nelly Sachs:

Se i profeti irrompessero
per le porte della notte,
incidendo ferite di parole
nei campi della consuetudine,
riportando qualcosa di remoto
per il bracciante
che da tempo a sera ha smesso di aspettare

Orecchio degli uomini
attento alle piccolezze,
sapreste ascoltare?

Saprò far incidere dai profeti i campi della mia routine quotidiana? Lascerò che il mio cuore sanguini? Oppure le meschinità, le grettezze, la superficialità l’avranno vinta?
Sorrido, perchè di tutto il brano delle tentazioni così travolgente di immagini, solo una frase continua a riecheggiarmi nell’animo: “ ed ecco angeli gli si accostarono e lo servivano”. Dio, che splendore. Questo attendo al termine del deserto, alla fine della notte, quando finalmente la primavera sboccerà.

Maco

Giu 012012
 

Gioele 3,1

Dopo questo,
io effonderò il mio spirito
sopra ogni uomo
e diverranno profeti i vostri figli e le vostre figlie;
i vostri anziani faranno sogni,
i vostri giovani avranno visioni.

Prima l’ho sentito. Il terremoto.
Al secondo piano di una palazzina milanese. La mente cerca di rassicurarsi: “Non è qui vicino. Niente panico”. Ma subito il pensiero corre lontano: dove allora? E forte quanto? Chi si è fatto male?
Corro a casa, in cerca di informazioni: ho bisogno di vedere, sono preoccupato.
E quindi due giorni di Tg, letture, pensieri. Anche preghiere.
Ieri sera infine mi sono messo a cercare non-so-cosa curiosando nei siti di Vasco e del Liga: loro sono nati lì. E poi, quando sono finite le parole si comincia a cantare. Lo abbiamo fatto per l’Abruzzo, adesso viene automatico.
Non credevo certo di trovare canzoni ma ero sicuro che almeno un post l’avrei trovato. E così è stato.
Sul Facebook di Ligabue un pezzo tutto nel suo stile: immediato, efficace. Mi ha colpito un’espressione folgorante: “la paura ti si piazza dentro”. Da brivido. Viene in mente la forza che apre la strada a una crepa.
Sul sito di Vasco invece ho letto un articolo di Roberto Roversi pubblicato su un quotidiano di ieri. La mia riflessione comincia da lì:

Nelle disgrazie ritroviamo la reciproca pietà: vengono fuori sentimenti austeri, di collaborazione. Ma sono sentimenti. Quello che serve è una visione, larga, del futuro. Che riconosca il passato e quel che è successo. Che ce lo faccia leggere, finalmente, e che lo voglia cambiare. Come fecero gli illuministi dopo il terremoto di Lisbona: lo racconta Kant, lo spiega Voltaire. Un progetto per una città nuova. E – senza più bisogno di citare i grandi filosofi – come successe in Friuli. Quella ricostruzione è stata una vera ricostruzione: non c´è esempio uguale.

Roberto Roversi: “La mia terra ferita” (La Repubblica 31.05.12 – testo raccolto).

Ricostruire.
In questi giorni più che mai, mi sembra un verbo buono per esprimere il segno della nostra vita umana.
Perché dopo un terremoto è ancora più evidente che “costruire” è prerogativa dell’eternità. A noi mortali è dato invece di ricostruire, facendo i conti con il limite che contraddistingue noi e le nostre cose, il nostro spirito e la produzione di senso che continuamente accompagna ciò che creiamo.
Però quanto è difficile accettare la logica di una continua ri-partenza! E’ così forte l’illusione di onnipotenza che le macerie fanno davvero male e lasciano dentro una paura dannata.
Si comincia a spostarle, quasi si fosse vittime di una coercizione a ricreare l’ordine, il cosmo. Ma poi, – ammesso che ci si riesca – sarà così semplice cominciare daccapo? E ricominciare bene per giunta?

Ha ragione Roversi: serve una visione.
Una visione larga, del futuro.
Però non come quelle dei visionari…
Serve la visione dei profeti: scomoda, tagliente, coraggiosa.
Una visione che fa i conti con la realtà, ma non si affida semplicemente a quelli, perché sa che tanto non tornano.
Servono dei profeti: gli unici che sanno difendersi dal vortice della mortificazione del presente, “alzando da terra il sole”.