La lunga fila di navi taglia le onde. Sulle prore sono dipinti grandi occhi: servono per trovare la rotta. Le navi hanno un volto, come gli esseri umani. «Navi dalle guance di minio», dicono infatti gli aedi. Le navi di Agamennone attraversano il mare verso la patria, e sulla cresta delle onde duecento occhi spalancati scrutano l’orizzonte, le prue si alzano verso il cielo e di nuovo si abbassano, scompaiono nella schiuma, riappaiono. La flotta sembra un banco di enormi delfini che guizza sul mare.
Alcuni dicono che esistono navi capaci di trovare la via senza bisogno di timonieri né remi: come le navi dei misteriosi Feaci, che viaggiano da sole portate dal vento. Invece la flotta degli Achei ha bisogno di piloti esperti che riconoscano i segni delle brezze, il movimento delle nubi nel cielo, gli indizi delle tempeste e delle bonacce, le rocce bianche e rosse che disseminano le strade del mare e stanno come alberi di sasso piantati in mezzo alla distesa dell’acqua, punti di riferimento chiari nel sole: per questo molti scogli furono chiamati leukàs, «roccia bianca», e i piloti li conoscono uno per uno. Di notte, i nocchieri osservano le stelle, le Pleiadi e l’Orsa, e il ruotare silenzioso del cielo. Il piccolo carro indica il Nord, da dove scende il vento teso dell’Egeo, e bisogna tenerlo ben fisso. Se il tempo muta e le onde si alzano, i piloti conoscono le rade e i porti in cui è meglio ripararsi e cedere al sonno. Oppure ascoltare i racconti degli aedi, che attraversano il mare insieme ai guerrieri e ai mercanti, di costa in costa, si confondono con loro nel ventre dei porti, e dappertutto raccontano i nomi degli eroi e le battaglie: il luogo in cui uno cadde e l’altro tornò alle tende con le armi del nemico.
Una nave taglia le onde, ma subito l’acqua si richiude e la sua scia è cancellata. Anche molti uomini non lasciano segni dopo il loro passaggio. Invece un eroe è al servizio della sua memoria: sa fin dal principio che il suo destino è lasciare un ricordo dietro di sé, in modo che chi non è ancora nato conosca un giorno le sue imprese, e i figli le raccontino con orgoglio. Il solco della sua vita non deve sparire come quello delle navi. A che serve, altrimenti, vivere senza che nessuno più sappia che si è passati nel mondo? Questo è l’onore che ogni eroe difende. Muoiono ugualmente il codardo e il valente, ma solo al secondo è riservata la fama, mentre gli altri vengono inghiottiti dal nulla. Muore una volta sola il valoroso – si dice – e mille volte il codardo. Nessuno piangerà per lui, nessuno ricorderà il suo nome e questo fa davvero paura: tornare nel nulla dopo una brevissima vita luminosa senza essere ricordati è come non essere mai nati; il buio del tempo infinito prima di te ti ha generato, il buio di un altro tempo infinito ti attende. Ne sarai risucchiato, per diventare forse uno degli infiniti spettri che svolazzano nell’Ade pallidi e muti.
I soldati di Agamennone riposano stringendosi al petto le ginocchia, accovacciati sul ponte, con la pelle rigata dalle cicatrici mentre il vento agita i loro capelli. Tornano a casa, ciascuno ha una storia da raccontare, la sua storia. Poco o tanto, ognuno di loro ha lasciato una traccia, ha raggiunto la sua parte di fama. È ciò che viene detto gloria, kléos, ed è per ottenerla che un uomo coraggioso lotta con tutte le forze, come se ogni sua azione fosse l’ultima.
Non tutti raggiungono la gloria. La maggioranza degli uomini è come la spuma che torna a sfarsi in onda. Quando un giovane parte per la guerra, il padre gli consegna le armi e gli raccomanda di essere il primo, di non cedere mai davanti a nessuno, per non disonorare la stirpe degli avi. Nessuno è figlio di se stesso, perché il sangue generoso passa da una generazione all’altra. «Che tu sia più glorioso di me», raccomanda un padre al proprio figlio. La gloria passa nelle vene e si trasmette ai discendenti insieme alle ricchezze e alle terre, e la memoria di un nome famoso è l’eredità più bella che un padre possa lasciare. Alcuni conquistano fama in battaglia, altri perché sono saldi di mente, o scaltri, o primi nelle gare atletiche. Altri ancora, come Ulisse, perché sanno parlare bene in assemblea e le parole escono dalla loro bocca fitte come fiocchi di neve avvolgendo gli ascoltatori, piegandoli alla propria volontà.
G. Guidorizzi – Io, Agamennone
Bello questo libro del Prof. Guidorizzi. Vale il tempo dedicatogli. Un brivido su quella frase: “il buio del tempo infinito prima di te ti ha generato, il buio di un altro tempo infinito ti attende.” Eppure per secoli e per milioni di uomini la morte fu sempre e solo questo. Scusate, è ancora e solo questo.
Ed è proprio dal buio di questo passato che emerge Achille. Ma lo vedremo meglio, nel prossimo post.
Maco