Apr 272017
 

 

Ora Boone guarda lo stesso tratto di mare e ricorda quel giorno. Ricorda anche una cosa che gli disse Kelly un sabato pomeriggio. Boone lo aveva aiutato a evitare che un gruppo di ragazzini di città affogasse mentre faceva body-boarding a La Jolla Shores, e alla fine, esausto, aveva chiesto a Kelly perchè si dava quella pena.

Con la sua tipica voce morbida, Kelly aveva risposto: “Tu ed io siamo stati fortunati. Molto presto, nella vita, abbiamo trovato una cosa che amavamo, che rendeva la nostra vita degna di essere vissuta. La mia idea è che se pensi che la tua vita sia degna di essere vissuta, dai valore anche alle vite degli altri. Non tutti hanno la nostra fortuna, Boone”.

Don Winslow- L’ora dei gentiluomini

 

Come al solito è un bel libro, con una scrittura pulita, semplice e coinvolgente. E come in ogni suo libro, c’è una violenza sotterranea che scorre in ogni capitolo.  Parlando di surf e spiagge Winslow dipinge la figura di un uomo integro, che a contatto col male non rinuncia ad essere fedele alla sua coscienza, anche se questo significa affrontare dei pericoli. Potrebbe far finta di niente e tutto scorrerebbe tranquillo, i cattivi perdono e i buoni vincono, i morti sono vendicati e la gente se ne va soddisfatta. Invece accetta di cercare la verità e sporcarsi con un mondo che non gli appartiene. E, e questa è la cosa più importante, è disposto a mettere in discussione le sue amicizie più profonde pur di non perdere la propria coscienza.

Alla fine, quando nulla sarà indolore:

Ci vorranno delle buone surfate, giornate insieme sulla spiaggia, notti passate a raccontarsi storie. Forse sarà necessario guardarci dentro con occhi nuovi. Come gli aveva scritto Sunny nella sua e-mail.

Ciao B,                                                                                                                                                   ho sentito delle tue ultime follie. Wow e doppio wow. Sembra che la Pattuglia dell’Alba sia passata dalla centrifuga. Ma sai com’è: se ce la fai a uscire dall’altra parte, il mondo sembra diverso. Nuovo, in un certo senso. Ricordo cosa diceva Kelly: “la tua finestra serve a specchiarti, oltre che ad affacciarti”. Tu e i tuoi amici ora avete una bella finestra, B. Divertitevi, mi raccomando. E prendetevi cura l’uno dell’altro.    

   Mucho love,                                                                                                                                                                  Sunny

Eh sì, come diceva il buon Shakespeare:

Quegli amici che hai e la cui amicizia hai messo alla prova, aggrappali alla tua anima con uncini d’acciaio.

Maco

Nov 292016
 

chagall-window-in-the-countryMarc Chagall
Fenêtre àla campagne

Come educatori siamo sempre chiamati a misurarci con l’attesa.
L’attesa è come un crinale, come la lama di una cresta: facile cadere da una parte o dall’altra.
Da un lato rischiamo la tentazione di voler accorciare i tempi.
Quando si dice (o si tace) la propria delusione di fronte ai frutti che non arrivano, si denuncia la propensione ad “avere delle attese” piuttosto che a viverle.
E’ il rischio di chi ha progetti sulla vita altrui, e dimentica che diversamente dai  vegetali, delle persone non possiamo nemmeno dire con certezza quale sarà la stagione del raccolto.
D’altra parte però non si può rinunciare alla promessa del frutto che ogni pianta porta con sé, pena il tradimento della sua identità. Perché il rischio opposto è quello di non aspettarsi nulla dal tempo, quasi che la maturazione non sia più la prospettiva finale dell’azione educativa. Allora al tempo togliamo il suo senso, e all’attesa la sua ragione, dato che  la vocazione dell’albero è di produrre il proprio frutto.

Un amico un giorno mi ha regalato una frase del poeta Rainer Maria Rilke:

“Ti ama davvero chi ti obbliga a diventare il meglio di ciò che puoi diventare”. 

Mi ha da subito colpito la forza di questa espressione “obbligare”, quasi a dire l’eccedenza della vocazione alla pienezza (il meglio che puoi), di fronte alla quale non si può transigere, perché sennò non si ama.
L’attesa in educazione è un continuo e gratuito prendersi cura, che non ha altro fine se non la pienezza dell’altro. E’ gratuità totale.
Dannatamente difficile.

dAle

Ott 242016
 

_2SM4238, Around the City; Mercato delle Gaite; Bevagna; Umbria, Italy, 2012; ITALY-10427NF2. A woman in costume for the Perugia Medieval Summer Festival. retouched_Sonny Fabbri

 

«Dio, devo vedere il tuo volto questa mattina, il Tuo Volto attraverso i vetri polverosi della finestra, fra il vapore e il furore; devo sentire la tua voce sopra il clangore della metropoli. Sono stanco, Dio. Non riesco a scorgere il tuo volto in questa storia»

Jack Kerouac –  I diari 

Il volto di un amico è l’unica cosa in grado di smuoverci dalle nostre paure. Lo ha sperimentato anche Dante, quando all’inizio del suo avventuroso viaggio ascolta le rassicurazioni di Virgilio sulle tre donne benedette che si sono spese in cielo per la sua salvezza e incomincia quindi il cammino.

Ma bastano le dure parole poste sopra le porte dell’Inferno per farlo ripiombare nella paura. Allora è solo il volto sorridente di Virgilio e il gesto di essere condotto per mano a dare a Dante la forza per intraprendere ciò che altrimenti lo lascerebbe paralizzato (E poi che la sua mano a la mia puose/ con lieto volto, ond’io mi confortai,/ mi mise dentro a le segrete cose).

È la presenza di un amico che ti indica la strada e cammina con te, sorridente a rendere viva e pulsante la promessa che sentiamo ogni giorno in noi. Ha ragione Kerouac: il volto di Dio deve essere prima di tutto ricercato (devo vedere). Dove? Nella normale quotidianità fra i vetri polverosi, il vapore, il furore. Ed è una ricerca continua che richiede sforzo (sono stanco, non riesco).

E gli amici più intimi hanno questo dono grande da offrirci: l’anticipo del Volto di Dio, ora, su questa terra. Nei loro sorrisi, nelle loro mani, nei loro occhi noi percepiamo l’eternità, la sfioriamo e a volte la tocchiamo.

Maco

 

Mar 282016
 

Pioppo

 

“Quando non ho nessun posto dove andare, torno qui. Quando non ho niente, torno qui. Torno qui e dal niente tiro fuori qualcosa. Posso vivere ai limiti della sussistenza; non c’è niente da comprare, nessuno da impressionare. Da queste parti tutto ciò che importa alla gente è la tua etica sul lavoro e la tua gentilezza e la tua competenza. Torno qui e ritrovo la mia voce come qualcosa che mi è scivolato dalle tasche, come un souvenir sepolto a lungo. E ogni volta che ritorno sono circondato da persone che mi amano, che si occupano di me, che mi accolgono sotto una tenda di calore. Qui riesco a sentire le cose, il mondo pulsa in maniera diversa, il silenzio vibra come una corda pizzicata milioni di anni fa; c’è musica tra i pioppi tremuli e gli abeti e le querce e persino tra i campi di mais essiccato. Come fai a spiegarlo a qualcuno? Come fai a spiegarlo a qualcuno che ami? Cosa succede, se poi non capisce?”

Nickolas Butler -Shotgun Lovesongs 

Ciascuno di noi dovrebbe avere un luogo simile. Un posto dove si ritorna e dove non c’è nessuno da dover impressionare. Un luogo amico dove le persone che ci circondano ci scaldano come sotto una calda vecchia coperta protettiva. Non dobbiamo conquistare il loro amore, lo abbiamo già fatto. Non dobbiamo preoccuparci di ciò che siamo, ci conoscono e rispettano già da tanto tempo.
È proprio qui, nel silenzio che vibra, che il modo intero assume una consistenza diversa e sembra svelare la musica che lo pervade.
Ciascuno di noi dovrebbe avere vicino qualcuno capace di sentire quello che il nostro cuore sente, capace di camminare sulla seta mentre si addentra nella nostra delicata e fragile anima. Qualcuno che raccolga e ci aiuti a custodire la nostra vera voce.

Maco