Apr 282016
 

 

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“E’ sciocco parlare di quanti anni dovremo passare nelle giungle del Vietnam, quando potremmo asfaltare l’intero paese, dipingerci sopra le strisce di parcheggio e tornare a casa prima di Natale” 

R. Reagan -1965

Some folks inherit star spangled eyes,
Ooh, they send you down to war, Lord,
And when you ask them, “How much should we give?”
Ooh, they only answer More! More! More! 
It ain’t me, it ain’t me, I ain’t no military son, son.
It ain’t me, it ain’t me; I ain’t no fortunate one, one.

Creedence Clearwater Revival – Fortunate Son

 

C’è nella foto di Huet tutta la disperazione di un ragazzo che inutilmente ha tentato di riportare in vita il suo compagno. Ecco un’immagine così carica di impotenza da essere quasi insostenibile. Nessun orrore o nessuna crudeltà mostrati in maniera oscena. Ma sono più di mille pugni nello stomaco.

Mi hanno affascinato i libri scritti dai reduci di quella guerra, per vari motivi. Penso che il motivo più forte sia stata la curiosità di scoprire come questi giovani avessero riletto quella esperienza così sconvolgente. Poter accedere ad una riflessione diversa da quella filmica, troppo veloce e emotiva. Toccare la ferita di una guerra che è durata fino alla mia nascita, una ferita mai del tutto rimarginata nella coscienza dell’Impero. Ci sono libri stupendi, da cui emerge tutto quell’ universo stravolto, le sue conseguenze durevoli, i suoi semi avvelenati.

Riflessioni strazianti, testimonianze tremende, libri, film, canzoni indelebili, foto. Eppure ancora oggi l’America ripete se stessa, perché per essere “ the greatest country in the world” finisce per essere inchiodata al suo eterno ruolo di Medea.

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Maco

P.s.: bellissimo e amaro il libro di Mahè e Rapaud, Eroi del fotogiornalismo, grazie al quale ho riscoperto foto come queste e ho conosciuto le vite di chi le ha scattate.