Gen 012013
 


Maestro e pastore.
Lo abbiamo ricordato così in tantissimi ma la riconoscenza nei confronti di una persona cara domanda di “riconoscere” un lascito intimo e personale all’interno di molte ricchezze donate a tutti. Poichè dunque è stato sì mio maestro, ho cercato il lembo del mantello che mi ha toccato davvero, trasformando un insegnante avuto in sorte nel maestro che il discepolo si sceglie di proposito, perché ne ha intuito la grandezza. E poiché per tutti è stato pastore, mi sono chiesto che cosa abbia reso la sua voce a me familiare, come quella del pastore appunto, che le pecore seguono perché conoscono.
Tra tutto quanto scelgo di condividere una sua capacità più unica che rara: quella di dare ascolto alla voce del non credente che è in noi.

Se a coloro che si definiscono “non-credenti” il Cardinale ha dato non solo parola ma addirittura lo spazio di una cattedra che affiancasse in modo speculare quella del Vescovo, e se questa apertura ha generato un dialogo fecondo per tutta la città, lo spazio più rilevante che quest’uomo avvezzo al discernimento degli spiriti sapeva concedere, si giocava sul terreno del cuore, ovvero nel profondo di ciascun individuo nel quale “credente” e “non credente” si confrontano, come protagonisti di un dramma che è appunto quello della fede.
E’ incredibile invece come molti che si definiscono credenti, brandiscano volentieri la spada delle proprie argomentazioni, immaginando che il loro compito sia quello di lasciare anzitutto il “loro” non credente, senza parole, come non avesse neppure diritto di replica, per eliminarlo completamente dall’orizzonte della coscienza.
Martini no.
Lui dava ascolto al non credente-che-è-in-noi senza alcuna censura, per porgergli in cambio non la controffensiva di un’agguerrita apologetica, ma anzitutto uno spazio accogliente, e quindi un’altra Parola: quella “di Dio”, in attesa che la luce da essa emanata potesse venirgli incontro nel suo cammino e permettere semmai un passo ancora. Si poteva capire che questo atteggiamento non era un paternalistico fermarsi ad aspettare un ritardatario, ma la seria presa in carico di un’istanza, da mettere sempre a confronto con la Parola di Dio che egli stesso ha definito “lampada sui suoi passi”.
In tal modo mi ha insegnato che il credente non è un podista che conosce di suo la meta perché sta percorrendo l’unica strada possibile ma un “uomo di poca fede” – come Gesù ha definito I SUOI – che continuamente si affida, su un terreno di cui non ha alcuna certezza se non quella di una mano tesa dal suo Signore.

E in tutto questo restava lui, con la sua coraggiosa instancabile passione per la Parola di Dio e la parola dell’uomo, manifestata in una forma tanto paradossale quanto desueta oggi: quella del rigore.
Martini mi ha testimoniato anche questo: che se l’amore non ha confini, chi ama deve fare una scelta dalla quale poi farsi misurare. E “starci dentro” sarà l’unico modo per non rinunciare a spendersi.
Grazie Carlo Maria.
Grazie sempre.