Gen 112019
 

Sometimes
I can’t believe my existence
See myself on a distance
I can’t get back inside
Sometimes
The air is so anxious
All my tasks are so thankless
And all of my innocence has died

A volte
Non posso credere alla mia esistenza
Mi vedo da lontano
Non posso tornare indietro
A volte
L’aria è così piena d’ansia
Tutti i miei compiti sono così ingrati
E tutta la mia innocenza è morta

U2 – The little things that give you away

Ci sono libri che li inizio e… subito mi viene da piangere. Per la loro bellezza. Per gli echi che vi risuonano dentro. Apro questo libro di Winslow e risento la musica dei suoi libri precedenti. Mi coinvolge e mi trascina come un tumultuoso torrente di montagna. È un vecchio compagno e mi lascio condurre con fiducia. Mi viene da piangere, perchè iniziato dovrà finire. Ma va beh, finiamolo allora.

Ed ecco una bellissima storia di maledetti. Di gente sporca moralmente. Uomini (e donne) corrotti nell’anima, dai soldi, dagli istinti, dal potere. Il protagonista Denny cercherà in ultimo di riscattarsi. Ma non è Walt Kowalski di Gran Torino. Walt si sacrifica da uomo integro per dare una speranza di vita attraverso la propria morte; padre biologico disgustato dai propri figli diventerà un padre pronto a morire per Tuan, il ragazzo di etnia hmong che tanto disprezzava. Invece Denny muore per sé, cercando di mettere una pezza ad un tessuto troppo sfilacciato perchè l’opera funzioni.

“Vaffanculo. In senso individuale e collettivo, vaffanculo”. Eh sì Denny . Eri un re, coi piedi d’argilla. Un piccolo re che amministrava una giustizia sporca. Avevi iniziato credendoci, nella giustizia. Ma poi, passo dopo passo, l’hai pervertita.

Il nostro inizio non può conoscere la nostra fine, la nostra purezza non può immaginare la propria corruzione. Tutto ciò che Denny sapeva, all’epoca, era che amava la polizia, in quei primi anni in cui batteva le strade in divisa e la gente lo guardava, gli innocenti si sentivano protetti perchè lui era lì, mentre per lo stesso motivo i colpevoli si sentivano a disagio. […] Non avrebbe mai immaginato, allora, che quelle strade lo avrebbero consumato, che il lavoro lo avrebbe consumato, che il dolore e la rabbia, i cadaveri, il crepacuore, la sofferenza, la stupidità, il cinismo gli avrebbero smussato l’anima invece di affilarla, come una pietra sfregata su una lama nel verso sbagliato. Tacche e crepe invisibili che un giorno avrebbero spezzato l’acciaio, facendogli capire che cosa aveva ucciso suo padre.

Sei morto solo, abbandonato da tutti quelli che tu, per primo, avevi abbandonato e tradito.

Maco