Giu 202019
 

Something is about to give
I can feel it coming
I think I know what it means
I’m not afraid to die
I’m not afraid to live
And when I’m flat on my back
I hope to feel like I did

Who’s to say where the wind will take you
Who’s to say what it is will break you
I don’t know which way the wind will blow
Who’s to know when the time has come around
Don’t wanna see you cry
I know that this is not goodbye

U2 – Kite

  • Dottoressa, cosa dobbiamo dire a nostra figlia?
  • In che senso?
  • Beh, sa… noi non ci abbiamo mai pensato… non sappiamo cosa ci sia o non ci sia… non ce lo siamo mai chiesto. Dove possiamo dirle che sia andato il nonno?
  • Perché? Dove è andato?
  • Beh… è morto.
  • Ah…

Uno dei tanti colloqui sentiti che ruota attorno al problema di quando bisogna parlare con i nostri figli di quel tabù innominabile che è la morte. È il limite. Per molti di noi è sempre stato così: meglio non pensarci, meglio non svegliare il can che dorme. Stiamo bene, siamo mediamente felici, lavoriamo, ci divertiamo e tutto fila liscio.

Quasi tutto. Perché poi le domande che ci chiamano ad essere responsabili arrivano e ci lasciano spaesati. Per qualcuno è un’occasione per riflettere e cominciare un cammino forse nuovo o forse interrotto anni prima. Per altri è solo un’ombra fastidiosa da scrollarsi di dosso il più in fretta possibile.
Di fronte al dialogo quasi surreale raccontatomi da mia moglie mi sono tornate alla memoria le parole di Jean Guitton in Lettera a un bimbo:

Da vecchio ho imparato, troppo tardi, senza alcun dubbio, che ci si arricchisce vivendo con un bimbo. Soprattutto se si chiede al bimbo di fare delle domande. Ho fatto visita a un celebre filosofo tedesco che si chiama Heidegger. A quel tempo viveva in una baita da eremita e in mezzo a quella campagna coperta di neve, Heidegger mi diede questo consiglio: “Se vuol progredire, tanto in filosofia quanto in religione, si faccia porre domande da un bambino. Non potrà rispondergli sempre, ma le farà scoprire la verità: perché il Vero è sempre velato. Il bambino toglie il velo”.

Essere responsabili significa essere capaci di rispondere. Da genitori, sforzarsi di farlo è il minimo. Con le parole, la propria vita quotidiana, i sentimenti. C’è tutto un universo di valori e di verità che aspettano di essere conquistati e trasmessi. Se li lasciamo sempre in secondo piano rischiano di evaporare e diventare sempre più evanescenti.

Concludo con l’augurio di Guitton:

Ti guardo con tenerezza, con timore, con speranza. Perché io sono il passato e tu l’avvenire. Sarai forse tu, piccolo, a rinnovare la gioia della terra. Per questo dovresti rimanere “piccolo”. Crescendo, dovresti rimanere bambino. Allora sarai un poeta, sarai un artista. Sarai fra coloro che la gente ammira perché hanno conservato il fascino dell’infanzia.
Eccoti alcuni consigli per rimanere bambino. Innanzitutto, il mattino, quando ti svegli, sentiti tutto meravigliato, come se il sole stesse per sorgere per la prima volta, come se tu per la prima volta saltassi fuori dal tuo letto per vivere. Immagina che quanto tu ora stai vedendo, ieri non fosse esistito, come se stessi assistendo alla nascita del sole, al principio del mondo. A scuola fai i tuoi compiti e applicati. Impara a tracciare le linee, a non commettere errori. Ti consiglierei di essere spesso un po’ distratto; di avere una parte di te che presta attenzione alle linee, alla punteggiatura e a tutto ciò che ti insegnano i maestri, e un’altra parte che deve essere come un uccello, che vola lontano e non presta attenzione a nulla. Per rimanere un bimbo tutta la vita, è questa seconda parte di te stesso che dovrai coltivare. Diranno che sogni. Ma è il “sogno da sveglio” che regala il genio…

 Maco

Mag 162016
 

Benjamin Franklin Parkway Messa 1

 

«L’educazione dei figli è impresa per adulti disposti ad una dedizione che dimentica se stessa: ne sono capaci marito e moglie che si amano abbastanza da non mendicare altrove l’affetto necessario.
Il bene dei vostri figli sarà quello che sceglieranno: non sognate per loro i vostri desideri. Basterà che sappiano amare il bene e guardarsi dal male e che abbiano in orrore la menzogna. Non pretendete dunque di disegnare il loro futuro; siate fieri piuttosto che vadano incontro al domani con slancio anche quando sembrerà che si dimentichino di voi.
Non incoraggiate ingenue fantasie di grandezza, ma se Dio li chiama a qualcosa di bello e di grande, non siate voi la zavorra che impedisce di volare. Non arrogatevi il diritto di prendere decisioni al loro posto, ma aiutateli a capire che bisogna decidere, e non si spaventino se ciò che amano richiede fatica e fa qualche volta soffrire: è più insopportabile una vita vissuta per niente.
Più dei vostri consigli li aiuterà la stima che hanno di voi e la stima che voi avete di loro; più di mille raccomandazioni soffocanti, saranno aiutati dai gesti che videro in casa: gli affetti semplici, certi ed espressi con pudore, la stima vicendevole, il senso della misura, il dominio delle passioni, il gusto per le cose belle e l’arte, la forza anche di sorridere. E tutti i discorsi sulla carità non mi insegneranno di più del gesto di mia madre che fa posto in casa per un vagabondo affamato; e non trovo gesto migliore per dire la fierezza di essere uomo di quando mio padre si fece avanti a prendere le difese di un uomo ingiustamente accusato.
I vostri figli abitino la vostra casa con quel sano trovarsi bene che ti mette a tuo agio e ti incoraggia anche ad uscire di casa, perché ti mette dentro la fiducia in Dio e il gusto di vivere bene.»

C.M.Martini – Sette dialoghi con Ambrogio

 

Vorrei questo: genitori adulti, consapevoli che quello che stanno vivendo è un’impresa. Mettere al mondo qualcuno è quanto di più naturale ci sia. Renderlo uomo, beh non ha niente di naturale. È qualcosa di soprannaturale che passa attraverso i gesti del quotidiano. “Non saprei dire se ci sia un gesto più efficace di mio padre che incomincia le preghiere […]; la vita dei figli sarà segnata per sempre dal modo con cui la madre accoglieva i bambini e sosteneva le fatiche per crescerli”.

C’è una grandezza che passa dall’infinitamente piccolo, ci sono valori eterni ed enormi che vengono interiorizzati per osmosi giorno dopo giorno, grazie ai gesti di noi adulti. Questo vorrei chiedere ai genitori che mi sfilano davanti, incontro dopo incontro e riunione dopo riunione. Cosa stai dando a tuo figlio di grande? Di bello? Quali valori gli stai insegnando per i quali vale la pena lottare? E per i quali vale la pena giocarsi in tutto e per tutto?

I nostri figli percepiscono la limpidezza e l’inesauribile mistero della vita, insieme con la sua fragilità e la spaventosa possibilità del male, attraverso i nostri discorsi, le nostre reazioni e ancor più grazie ai nostri gesti che diventano segni. Segni di qualcosa di più grande. Appunto: Sei forte abbastanza per l’amore ordinario? Perché è nell’ordinario che i nostri figli ci chiedono semi e segni di eternità. Cosa stai insegnando loro ad amare?

Maco

Mar 152016
 

Car Oil

 

“Imparai  una difficile lezione. Quando si ha davanti un compito enorme e difficile, che a volte si teme di non riuscire a portare a termine, questo compito, affrontato poco alla volta, giorno dopo giorno, senza fede e senza speranza, improvvisamente si realizzerà da solo.”

Blixen Karen

I’ve been down on the bottom of a world full of lies
I ain’t looking for nothing in anyone’s eyes
Sometimes my burden seems more than I can bear
It’s not dark yet, but it’s getting there

Bob Dylan

 

È vero. Forse è davvero così. Ci sono compiti che ci appaiono non solo enormi e difficili, ma a volte inutili, e frustranti nella loro ripetitività estenuante. Ancora? ci viene spontaneo domandare. Per quanto? Fino a quando?

Ma penso che questa difficile lezione che la scrittrice Blixen ha imparato sia applicabile a tutta la vita. Ci sono periodi, giornate settimane o addirittura mesi, dove la quotidianità diventa un panno intriso di sporcizia. Sembra sempre una piovosa giornata invernale. È come se le relazioni, gli affetti, il lavoro acquisissero una densità diversa, più viscosa e fangosa.

E può anche accadere che ci ritroviamo senza più uno stimolo o una ragione per guardare avanti, e che tutto sembri sabbia che scivola via. Un “empire of dirt” ( come cantava Cash) che copre con la sua ombra di non-senso i giorni che ci si srotolano di fronte.

Così anche il nostro spirito rimane segnato o viene sfiorato dal dubbio sulla inutilità della fatica e della lotta quotidiana. Il rischio è di rimanere bloccati in quel momento di smarrimento o di delusione. È un rischio grande, perché il pericolo è rimanere avviluppati in una spirale di autocommiserazione e sottile autocompiacimento fini a sé stessi e sterili.

Ecco allora una possibile soluzione che ci viene suggerita dal brano della Blixen: affrontare questi compiti, questi giorni, questi momenti di scoraggiamento un passo alla volta, uno dopo l’altro anche se davanti a noi non vediamo nessuna luce.

Non sedersi, non cedere alla tristezza: la mia vita è “ the vale of Soul-Making”, la valle dove si “fanno” le anime.  “La vita è questione di anima e di costruzione: è un cantiere, non un recinto. L’immagine comunica forte dinamicità, che fa immaginare intelligenza, progressione, cura, animazione. La vita non è questione di appiattimento o assimilazione, anzi non è neanche un “fatto”, qualcosa di dato una volta per tutte, ma un impiego di energia” dice Spadaro a commento della frase di Keats. Ripartiamo, un mattone alla volta, piano piano e improvvisamente ritorneremo in possesso del nostro cantiere.

Maco

 

Dic 022015
 

OLYMPUS DIGITAL CAMERA

 

You got a face not spoiled by beauty
I have some scars from where I’ve been
You’ve got eyes that can see right through me
You’re not afraid of anything they’ve seen

I know a girl who’s like the sea
I watch her changing every day for me
One day she’s still, the next she swells
You can hear the universe in her sea shells

Paul Hewson

 

Mi chino ogni giorno per decine di volte. Per baciarle.

E ogni volta la stessa sensazione: accostarmi a qualcosa di bello, che è lì anche per me. E non è solo una vaga sensazione, è proprio un fatto fisico: le guance morbide, le labbra, gli occhi ridenti, le smorfie, i capelli soffici e lucenti.

Per un attimo vengo risucchiato un  mondo immacolato e ne assorbo il profumo. Non importa se sono di fretta, distratto, preoccupato. È come se il mio animo ricevesse una scossa benefica, una ricarica di impalpabile energia.

E le loro facce hanno proprio questa caratteristica: non sono ancora rovinate dalla bellezza, dalla ricerca di piacere, dallo sforzo di adeguarsi all’immaginario che ci viene trasmesso da Tv, giornali, riviste, internet. Sono semplicemente loro stesse, in un continuo vortice di cambiamenti e emozioni pure e dirette. Tutto gratuito, tutto in abbondanza.

Grazie.

Maco