Feb 152017
 


Quando uscivi dalla porta del retro di casa, da un lato trovavi un abbeveratoio di pietra in mezzo a quelle erbacce. C’era un tubo zincato che scendeva dal tetto e l’abbeveratoio era quasi sempre pieno, e mi ricordo che una volta mi fermai lì, mi accovacciai, lo guardai e mi misi a pensare. Non so da quanto tempo stava lì. Cento anni. Duecento. Sulla pietra si vedevano le tracce dello scalpello. Era scavato nella pietra dura, lungo quasi due metri, largo suppergiù mezzo e profondo altrettanto. Scavato nella pietra a colpi di scalpello. E mi misi a pensare all’uomo che l’aveva fabbricato. Quel paese non aveva avuto periodi di pace particolarmente lunghi, a quanto ne sapevo. Dopo di allora ho letto un po’ di libri di storia e mi sa che di periodi di pace non ne ha avuto proprio nessuno. Ma quell’uomo si è messo lì con una mazza ed uno scalpello e aveva scavato un abbeveratoio di pietra, che sarebbe potuto durare diecimila anni. E perché? in che cosa credeva questo tizio? Di certo non credeva che non sarebbe cambiato nulla. Uno potrebbe pensare anche a questo. Ma, secondo me, non poteva essere così ingenuo. Ci ho riflettuto tanto. Ci riflettei anche dopo essermene andato da lì quando la casa era ridotta a un mucchio di macerie. E ve lo dico, secondo me quell’abbeveratoio è ancora lì. Ci voleva ben altro per spostarlo, ve lo assicuro.

E allora penso a quel tizio seduto lì con la mazza e lo scalpello, magari un paio d’ore dopo cena, non lo so. E devo dire che l’unica cosa che mi viene da pensare è che quello aveva una specie di promessa dentro il cuore. E io non ho certo intenzione di mettermi a scavare un abbeveratoio di pietra. Ma mi piacerebbe essere capace di fare quel tipo di promessa. È la cosa che mi piacerebbe fare più di tutte.

Cormac McCarthy  – Non è un paese per vecchi

Noi che tipo di promessa abbiamo dentro? Cosa ci spingerebbe a scalpellare per un paio d’ore dopo cena, pestando le dita e tagliando le mani?

Maco

Mar 042015
 

E così, anche quest’anno la Quaresima mi spalanca le porte sconosciute e affascinanti del deserto. Un luogo strano, terribile e allo stesso tempo propizio per chi vuole fare pulizia dentro di sé.
Mi ricordo di un frate francescano in Terra Santa, che dopo aver camminato per alcune ore nel deserto di Giuda si era soffermato a guardarsi i sandali.
“Cosa c’è, qualche vescica?”
“No, no. È solo che ogni volta che cammino nel deserto succede ai sandali la stessa cosa che succede alla mia anima: guarda, come sono puliti.”
Di sicuro per me oggi prevale più l’aspetto positivo del deserto, il suo forte richiamo all’ascolto, al silenzio; anche se rimbombano dentro le orecchie le parole di Mosè al suo popolo: “Poi partimmo dall’Oreb e attraversammo tutto quel deserto grande e spaventoso che avete visto”,  “questo deserto grande e spaventoso, luogo di serpenti velenosi e di scorpioni, terra assetata, senz’acqua”.
Ci camminerò. Quaranta giorni, quaranta notti. Intanto tengo fra le mani questa poesia/domanda di Nelly Sachs:

Se i profeti irrompessero
per le porte della notte,
incidendo ferite di parole
nei campi della consuetudine,
riportando qualcosa di remoto
per il bracciante
che da tempo a sera ha smesso di aspettare

Orecchio degli uomini
attento alle piccolezze,
sapreste ascoltare?

Saprò far incidere dai profeti i campi della mia routine quotidiana? Lascerò che il mio cuore sanguini? Oppure le meschinità, le grettezze, la superficialità l’avranno vinta?
Sorrido, perchè di tutto il brano delle tentazioni così travolgente di immagini, solo una frase continua a riecheggiarmi nell’animo: “ ed ecco angeli gli si accostarono e lo servivano”. Dio, che splendore. Questo attendo al termine del deserto, alla fine della notte, quando finalmente la primavera sboccerà.

Maco