Gen 192011
 

Era quasi inevitabile non imbattersi in Matrix: un colpo di genio della nostra epoca. Se da un lato Matrix è un calderone da cui si può tirar fuori praticamente qualsiasi cosa, chi fa lo schizzinoso (come Slavoj Zizek), poi ci casca anche lui e va a finire che ne parla il doppio degli altri e ci vende libri.
Il primo raggio gamma che ti rimando è la famosa scena in cui Morfeus, sospeso nel nulla di un bianco artificiale annuncia: “Questo è struttura: il nostro programma di caricamento. Possiamo caricare di tutto…”. Preso da un senso di irrealtà, il suo ospite si sente a disagio e sta male. Dopo il discorso di Morfeus su quel che è rimasto dell’umanità, il nuovo venuto avrà un attacco di panico e dovranno tirarlo fuori scollegandogli il “cavo di rete” che trasmette al suo cervello le informazioni del programma, come se venissero dai suoi sensi.

Questa scena in qualche modo simboleggia davvero qualcosa del mondo in cui viviamo: un mondo che filosofi e antropologi contemporanei affermano essere segnato dal vuoto, dal nichilismo e dai non-luoghi. Ma da questo vuoto dobbiamo proprio fuggire?
Personalmente non lo temo. Lo dico pensando a quanto sono affezionato al mio supermercato! Penso al fatto che a volte prenderei il treno solo per passare in Stazione Centrale e sentire la voce digitale che annuncia arrivi e partenze in un mare di luci e rumori. Penso a quanto mi piace percorrere in solitudine la A26 verso nord-ovest, quando ci sono due auto per chilometro quadrato e rimane solo la strada con la riga intermittente al centro. Per non parlare del mio amato Parco Nord dove tra l’altro, in questi giorni di nebbia, sembra proprio di camminare “nella bottiglia di orzata dove galleggia Milano”.
Insieme a casa mia e ai volti delle persone che conosco, anche questi spazi tengono in equilibrio la mia vita. E allora mi dico questo: che nessuno spazio del nostro tempo è veramente “vuoto” o senza senso; ci sono diversi livelli di densità in una vita vivibile che è fatta di equilibri tra vuoto e pieno. Se noi stessi non fossimo concavi, e non riuscissimo a fare nostro questo spazio vuoto, come riusciremmo ad accogliere? Ad ascoltare? A comprendere?
Il vuoto è struttura, e questo significa che possiamo caricare di tutto:

“il profumo dei fiori l’odore della città,
il suono dei motorini, il sapore della pizza.
Le lacrime di una mamma, le idee di uno studente
gli incroci possibili in una piazza…”

Il guaio è quando non carichiamo niente: è allora che non sappiamo più che non siamo soli, anche quando siamo soli.

  One Response to “Questo è struttura”

  1. Se fuggissimo il vuoto, vuoto rimarrebbe. La sfida, difficile certo, è trasformare il non luogo in occasione di essere luogo: vedervi persone, storie, immagini, frammenti. Sono anche io d’accordo: non siamo fatti per il vuoto ma, con strade diverse, cerchiamo la pienezza.

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